Cerca nel blog

Risultati del Progetto nelle Scuole

Interculturalità a scuola
L'elaborazione del concetto di diversità
Serena Gianfaldoni
Il Progetto
Presentiamo in questa relazione i risultati del Progetto Educativo
"Interculturalità" promosso dal Laboratorio di Ricerca Sociale
dell'Università di Pisa e dall'Istituto Superiore di Scienze Religiose
"Stenone", un percorso che ha coinvolto nell'anno scolastico 2009-2010
circa 70 classi, 80 docenti e oltre 1400 bambini e ragazzi delle
scuole primarie e secondarie dell'area pisana. Il progetto è stato
concepito nell'ottica di contribuire alla promozione di una serena e
fruttuosa convivenza fra persone di culture e religioni diverse,
obiettivo sicuramente ambizioso ma sempre più urgente, difficile da
raggiungere se non assumendo una prospettiva di lungo termine.
Per concretizzare le finalità prefisse, nel percorso educativo
"Interculturalità" sono stati individuati obiettivi strumentali. Fra
di essi: stimolare una concreta attività di ascolto, rendere palesi
eventuali riserve e timori degli studenti, favorire l'assunzione di
ruolo e la personalizzazione dello "straniero", motivare a un dialogo
sincero, mettere in discussione comuni generalizzazioni, facili
strumentalizzazioni e deformazioni mediatiche.
Contenuti del progetto
Gli incontri nelle scuole, della durata totale di 6 ore per classe
distribuite in 2-3 incontri spaziati di almeno una settimana, hanno
consentito di affrontare in aula una ricca serie di temi individuati
come fondamentali per il percorso. Tali contenuti sono stati
selezionati anche in base alle esigenze particolari di classi e
docenti e in base al criterio dell'attrattività, per agevolare una
costante attenzione degli studenti.
Siamo partiti innanzi tutto dalla propedeutica definizione di cultura,
utilizzando in modo privilegiato immagini (fotografie e filmati) e
soffermandoci su realtà semplici e quotidiane (mangiare, dormire,
vestirsi, fare la spesa, andare a scuola, concetto di lecito/illecito
…). Facendo riferimento alle esperienze concrete degli studenti
abbiamo poi lasciato spazio a una discussione critica del legame fra
turismo e conoscenza, mettendo in evidenza facili stereotipi e
semplicistiche generalizzazioni. Sono stati inseriti nel percorso
anche esempi concreti di "misunderstanding" culturale che hanno
raccolto molti consensi nei ragazzi. Fra di essi casi di
fraintendimento che riguardavano il significato di silenzio nelle
varie culture, il diverso utilizzo della distanza spaziale e del
contatto oculare, la diversa accezione di aiuto e maleducazione. La
discussione è proseguita affrontando il concetto di rappresentatività
culturale, utilizzando con successo spezzoni di film, brani musicali e
cartoni amimati, soprattutto in relazione al concetto di "italianità".
Con entusiasmo, soprattutto di fronte all'utilizzo di barzellette,
vignette e filmati ironici, gli studenti si sono interrogati su "come
ci vediamo/come ci vedono". Trasversale in tutto il percorso è stata
la discussione sul tema degli stereotipi e dei pregiudizi. Una
particolare attenzione è stata prestata alla logica
Nord-Sud/Maggiore-Minore, per poi passare ai temi del conformismo e
dell'incidenza del gruppo nelle scelte del singolo. In aula è stato
affrontato anche il ruolo di vari mass media nei processi di
mediazione interculturale e interreligiosa, non limitandoci a quelli
tradizionali.
Il concetto generico di diversità è stato a più riprese affrontato,
soprattutto per analizzare l'escalation delle possibili attitudini
negative (paura, derisione, rifiuto, propaganda, esclusione,
segregazione, sterminio). Con l'aiuto dei docenti, soprattutto di
materie umanistiche, ci siamo soffermati poi su casi storici di
xenofobia e propaganda razziale. Per concludere è stato affrontato il
tema della convivenza, prendendo lo spunto dalle principali strategie
individuate e definite dagli esperti per una efficace gestione dei
conflitti interculturali e interreligiosi.
Metodo utilizzato
Considerando la complessità e la delicatezza dei temi affrontati, ben
consapevoli della difficoltà nel mantenere costante il livello di
attenzione degli studenti, soprattutto delle scuole primarie, abbiamo
preferito nel nostro percorso utilizzare una serie variegata di
strumenti per parlare di interculturalità, facendo ricorso soprattutto
a immagini e suoni.
Gli studenti hanno particolarmente apprezzato l'eterogeneità del
materiale utilizzato. Fra di essi: fotografie, quadri di pittori
famosi, manifesti elettorali, spezzoni di film e di cartoni animati,
la proiezione critica di pubblicità commerciale, esempi di pubblicità
"progresso", l'analisi interculturale di alcune barzellette, le favole
nei più piccoli, brani di musica pop e classica, immagini di
abbigliamento, piatti tipici nazionali nonché il ricorso alla formula
del gioco, utilizzata per parlare di autopercezione ed
eteropercezione.
Sono piaciute in particolare, non solo nelle scuole primarie, le
"stranezze", affrontare cioè in un'aula scolastica argomenti
divertenti, non consueti. Fra di essi citiamo per esempio concezioni
alternative di maleducazione, modi inaspettati per dire si e no,
abitudini quotidiane diverse come fare la spesa, la diversa gestione
della spazzatura, la concezione diversa di pubblico-privato,
addirittura l'utilizzo di tipi diversi di gabinetto. Gli studenti
delle superiori hanno particolarmente gradito durante il percorso
l'ascolto critico di canzoni pop, utilizzate per affrontare in aula il
tema della rappresentatività culturale.
Durante gli incontri è stato riservato un grande spazio ai commenti e
alle domande degli studenti, scegliendo di evitare lezioni
eccessivamente frontali a favore di discussioni partecipate dove
fondamentali fossero le esperienze personali, resoconti di viaggi e la
narrazione di episodi concreti.
Nel corso del progetto sono stati direttamente coinvolti anche oltre
settanta docenti che hanno collaborato concretamente alla discussione
delle tematiche affrontate, citando anche esperienze dirette vissute
dai ragazzi nel percorso scolastico.
Per raccogliere il punto di vista degli studenti e per concretizzare i
risultati conseguiti in fase progettuale è stato anche concepito un
concorso a premi che lasciasse grande spazio alla creatività. I
numerosi elaborati inviati, oltre quattrocento, hanno confermato in
varie modalità gli atteggiamenti registrati nel corso degli incontri.
La relazione
In questa relazione abbiamo dedicato una prima parte alla
ricostruzione del concetto di diversità elaborato dai ragazzi
coinvolti nel progetto. A tal fine sono stati presi in esame oltre 400
elaborati fra disegni e testi presentati per il concorso "Io e
all'altro allo specchio", nonché commenti e aforimi raccolti e
registrati dai docenti durante gli incontri nelle scuole.
Nella seconda parte della relazione ci soffermiamo sulla ricostruzione
del concetto di "straniero" operata dagli studenti. Occorre precisare
come nel seguente testo il termine straniero compaia fra virgolette
per indicare la condizione di chi, agli occhi degli studenti
interpellati, possa essere ricondotto a questa categoria. È stato
notato in più occasioni come vengano considerati tali, oltre a
"persone di nazionalità non italiana, individui nati in paesi
lontani", "che parlano un'altra lingua", "che hanno vissuto per molto
tempo all'estero e si trovano da poco in Italia", anche amici di
sport, vicini di casa o compagni di classe figli di immigrati che, pur
essendo diventati italiani a tutti gli effetti, vengono da lontano e
sono "portatori di costumi diversi e credenze non italiane".
Interessante notare come spesso in questa categoria "straniero"
vengano inclusi anche compagni di classe nati all'estero e adottati
fin da piccolissimi da famiglie italiane, soprattutto se provengono da
aree povere o "marginali".
Abbiamo ritenuto opportuno nel testo dedicare anche un paragrafo alla
ricostruzione della diversità elaborata dagli studenti nel corso delle
numerose vacanze compiute all'estero. Sempre nella sezione dedicata
agli studenti italiani, sono stati riportati i timori emersi nella
discussione e le strategie individuate dai ragazzi per favorire
l'inclusione del diverso.
La terza parte della relazione raccoglie invece le ricostruzioni dei
processi inclusivi viste dal punto di vista dei ragazzi "stranieri",
che parlano delle personali difficoltà incontrate e delle strategie
individuate per un efficace inserimento.
Nel seguente testo compaiono fra parentesi e in italico anche alcune
frasi e aforismi raccolti negli incontri o individuati negli elaborati
presentati per il concorso. Non sono stati solo annotati frasi di
studenti italiani, ma anche commenti e confidenze dei molti ragazzi
"stranieri" che a volte con fatica stanno cercando di inserirsi nella
scuola e nel tessuto locale. L'incontro con questi studenti, per noi
occasione privilegiata di indagine sociologica, ha consentito durante
la discussione in classe, la conoscenza o l'approfondimento di alcune
espressioni culturali relative a oltre venti paesi sparsi in quasi
tutti i continenti (Marocco, Costa d'Avorio, Albania, Romania,
Macedonia, Bulgaria, Moldavia, Polonia, Ucraina, Russia, Iran, Iraq,
India, Bangladesh, Nepal, Cina, Filippine, Australia, Ecuador,
Brasile, Argentina).
Il concetto di diverso
Prima di affrontare con gli alunni delle scuole coinvolte tematiche
interculturali e interreligiose, siamo partiti da lontano, dal
concetto di diversità, dedicando una parte importante della
discussione alla ricostruzione e definizione di un concetto mai dato
per scontato. Partendo dalla proiezione di immagini e filmati che
ritraevano scene quotidiane da tutto il mondo che rappresentavano
diversi modi di vestire, mangiare, dormire, salutare, costruire
abitazioni…siamo poi passati alla fase di intervista per attualizzare
e concretizzare il concetto di diversità nella vita degli studenti.
Dalle espressioni raccolte durante le lezioni e dai testi e disegni
presentati per il concorso, possiamo affermare che la diversità viene
vissuta dai ragazzi, generalmente, come una cosa scontata ed evidente
("Nessuno a questo mondo è lo stesso"; "Siamo tutti diversi per
qualcosa"; "Basta guardarci intorno per capire cosa è la diversità").
Gli studenti però distinguono. Parlano innanzitutto di una diversità
fisica (per esempio diverso colore della pelle, taglio degli occhi,
forma del viso…), vissuta generalmente come positiva, naturale e
innata (come emerge da un disegno dove viene rappresentato il Paradiso
con Adamo scuro di pelle).
Gli studenti parlano poi del concetto di diversità in riferimento a
una disabilità fisica o psichica, per esempio stare sulla sedia a
rotelle, essere ciechi ("Una persona diversa che mi fa sentire a
disagio è quella che non può camminare o vedere…Con loro mi sento a
disagio, e anche tanto, perché non so cosa provano né che pensano
della loro situazione"), avere problemi psicologici di comportamento
("Lorenzo in prima elementare si buttava steso per terra e cominciava
a rotolare"), ma anche un peso eccessivo ("All'età di 12 anni pesavo
85 kg. Mi sentivo diverso e solo. Tutti i ragazzi che conoscevo, a
parte pochi, mi prendevano in giro, quasi tutti dandomi soprannomi
orrendi").
Compare poi il concetto di diversità "esteriore" e di costume, in
riferimento al modo diverso di vestire, mangiare, dormire,
socializzare…
Queste tre principali accezioni di diversità sembrano distinguersi e
opporsi a quella che viene invece diffusamente definita come
"diversità mentale", a più riprese negata e sostituita generalmente
dai concetti di uguaglianza e diritto che accomunano tutti gli esseri
umani ("Non siamo uguali fisicamente ma siamo uguali mentalmente"; "I
diversi sono comunque esseri umani, con diritti e doveri"; "Siamo
semplicemente diversi uno dall'altro ma fatti tutti di carne e ossa,
con un cuore e un'anima"; "Di fronte alla morte e alla vita reagiamo
tutti nello stesso modo").
IL PUNTO DI VISTA DEGLI STUDENTI ITALIANI
Scoperta del diverso in vacanza
Utilizzando il metodo dell'intervista, abbiamo fatto una veloce e
propedeutica ricognizione sul concetto di diverso e straniero
elaborato dagli studenti in occasione di viaggi all'estero. Molto
spesso "straniero" viene associato a "lontano", soprattutto dai
bambini del primo ciclo delle scuole primarie che in modo ricorrente
hanno inserito nella categoria "viaggi all'estero" vacanze in
Calabria, Sardegna, Sicilia, Isola del Giglio, Val d'Aosta…
Alla domanda "Quali paesi stranieri avete visitato?" molti bambini e
ragazzi che hanno partecipato al progetto, con palese orgoglio ed
entusiasmo, hanno fatto l'elenco dei numerosi e frequenti viaggi
effettuati anche in posti lontani o esotici, solitamente al seguito
della famiglia nel periodo delle vacanze estive o invernali.
La maggior parte degli studenti interpellati ha viaggiato per periodi
relativamente brevi (al massimo due settimane), in località di mare
del Mediterraneo o nelle grandi capitali europee. In molti casi questi
viaggi sono stati organizzati in condizioni di comodità, prendendo
l'aereo verso località già frequentate in passato, dove vivono parenti
o amici, ma anche note mete turistiche. Non pochi hanno parlato di
rilassanti vacanze in villaggi "all inclusive".
Alla domanda "Cosa ti ha colpito dei paesi che hai visitato?" le
risposte sono state varie. Gli studenti hanno indicato solitamente le
diversità relative agli aspetti esteriori degli abitanti, primo fra
tutti il tipo di abbigliamento, la lunghezza degli abiti, i colori
utilizzati per le stoffe, l'acconciatura, la copertura del viso e del
corpo, soprattutto nelle donne.
Non mancano commenti sulle modalità quotidiane di vita quali fare la
spesa, i mezzi di locomozione, il concetto di ordine e pulizia,
l'immediatezza negli approcci o un atteggiamento distaccato verso lo
straniero ("I francesi erano scontrosi e si comportavano in molto
diverso da quello al quale sono abituato", "Quando sono andato in
Svezia le persone erano molto più fredde e distaccate").
La scoperta dello "straniero" a Pisa
Durante la discussione in classe, quando abbiamo parlato della
presenza di stranieri in Italia, abbiamo notato da parte degli
studenti l'utilizzo delle principali categorie utilizzate per
inquadrare e definire l'autoctono nei viaggi compiuti all'estero ("Si
vestono in modo diverso", "Mangiano cose diverse e in modo diverso",
"Hanno un diverso colore della pelle"), ma anche una maggiore
associazione fra straniero, in particolare extracomunitario, e
condizioni di disagio e povertà.
È stato riscontrato un generalizzato interesse e una sana curiosità
verso la novità che spinge al primo contatto ("Ho cercato subito di
parlare con lei ma non sapeva l'italiano"; "Ero curioso di sapere
perché era venuto proprio a Pisa"; "Quando il mio amico mi parlava del
suo paese io lo ascoltavo con molto interesse perché ero felice di
avere l'opportunità di conoscere una nuova cultura").
La discussione diventa ancora più partecipata e si arricchisce di
particolari quando viene affrontato il tema dell'incontro con lo
"straniero" in classe, materializzato nei nuovi compagni venuti a Pisa
da paesi lontani o figli di immigrati, italiani a tutti gli effetti,
ma contestualmente portatori di una diversa cultura e religione.
Dalle ricostruzioni fornite negli incontri e negli scritti presentati
per il concorso, possiamo notare come gli studenti solitamente
dedichino inconsapevolmente una prima parte del processo inclusivo ad
una costante raccolta di informazioni, considerata necessaria per un
orientamento iniziale. Fra le prime valutazioni che vengono compiute
la comparazione con altri sistemi scolastici e la conseguente scoperta
di come funzionano le scuole all'estero dove diverse sono le regole,
il calendario, la disponibilità di attrezzature tecnologiche,
l'abbigliamento consentito e l'utilizzo della divisa.
Dopo le prime frequentazioni al di fuori delle mura scolastiche emerge
la sorpresa di fronte a ritmi di vita ("La mia amica inglese cena alle
18,30"), abbigliamento ("I marocchini vestono benissimo, tutti
colorati e pieni di gioielli come i diamanti, ovviamente finti"),
stili di arredamento (La casa di Jasmine è piena di cuscini e
tappeti"), abitudini gastronomiche ("Nel suo frigo trovi cose che non
ci sono in Italia", "Il mio amico del Bangladesh mangia riso a
colazione"), "stranezze" di abitudini ("Il mio amico d'estate andava
in giro col giubbotto, ma non era mica matto. Lo faceva semplicemente
perché era abituato al clima del suo paese caldo dove la terra scotta
e dove gli animali selvaggi corrono liberi").
La scoperta della cultura altrui appare principalmente associata e
veicolata dalla relazione interpersonale che porta a evidenziare le
abilità del compagno "straniero", prime fra tutti l'allegria e la
simpatia ("Dopo i primi momenti è diventato il simpaticone della
classe"; "Ho scoperto quanto è allegra"; "Ho scoperto quanto è brava a
suonare gli strumenti musicali").
Uno dei luoghi privilegiati di incontro con Alter è lo sport o il
parco giochi per i più piccoli ("Quando avevo quattro anni, al parco
giochi dietro un angolino nascosto c'era un bimbo di colore con un
bellissimo pallone nero e blu. Ero un po' tutubante perché non sapevo
cosa dirgli, ma quando si è piccoli si inizia a giocare facilmente. Mi
avvicinai e gli chiesi se potevo giocare con lui. Non gli domandai
nemmeno come si chiamasse, ma da subito diventammo amici").
I ragazzi italiani esplicitano i timori
Gli studenti italiani interpellati di fronte alla presenza di un nuovo
compagno "straniero" raramente mostrano un atteggiamento distaccato,
anche se non mancano timori e titubanze iniziali ("Sinceramente,
all'inizio mi vergognavo un po' ad avvicinarmi ai miei compagni
stranieri perché, non conoscendo la loro cultura, avrei potuto
offenderli. Avevo paura a chiedere di giocare insieme perché il gioco
avrebbe potuto non piacergli")
Quando vengono esplicitati timori più o meno manifesti e varie forme
di pregiudizio verso culture e religioni diverse, appaiono evidenti le
elaborazioni familiari ("mio padre non sopporta gli albanesi e i
marocchini, ma dice che i senegalesi e gli africani sono bravi"; "è
vero che hanno molti problemi, ma non si vogliono integrare
veramente").
In molti casi, nonostante l'evidente ruolo informativo dei mass media,
si registra anche un legame fra i timori manifestati e una diffusa
carenza o mancanza di conoscenza di altre culture o religioni. Un
esempio lampante la reazione di fronte all'immagine di due donne in
burqa. Abbiamo raccolto definizioni particolarmente significative,
anche buffe se ci riferiamo ai bambini delle scuole primarie che hanno
dato sfogo alla fantasia ("suore, poveri, ninja, extraterrestri"). Il
colore nero del velo e il viso delle donne quasi interamente coperto
hanno evocato nei bambini figure immaginarie e misteriose,
riconducibili alla categoria "persone che vogliono nascondere
l'identità": "stanno fuggendo", "sono donne che hanno fatto qualcosa
di male", "secondo me sono individui impauriti che si nascondono da
qualcuno che vuole fare male". Molto frequente, soprattutto negli
studenti maschi delle primarie, l'associazione con categorie
(televisive) della delinquenza "ladri, assassini, terroristi, mafiosi
", definizioni quasi sempre accompagnate da sghignazzamenti complici e
risate collettive. Presso alcune scuole secondarie di primo grado si
sono verificati anche interessanti casi di proiezione da parte di
giovani teen agers che hanno definito le donne in burqua "signore che
si nascondono la pelle perché hanno i brufoli" oppure "donne che si
nascondono il viso perché sono troppo brutte", "ragazze che sono
uscite di nascosto".
La discussione sulla presenza di stranieri diventa più accesa e assume
talvolta un tono politico con i ragazzi delle superiori che
arricchiscono gli incontri di esempi concreti di attualità. Anche in
questo caso risulta evidente il ruolo formativo delle famiglie e delle
figure genitoriali che formano all'accoglienza ("Da quando sono
piccolo i miei genitori dicono sempre che le persone sono tutte
uguali: bianche, nere, gialle, con problemi fisici e non vanno
rispettate") o al pregiudizio ("la maggior parte dei rumeni che vivono
a Pisa vivono di espedienti e di furti per sopravvivere. Basta vedere
in carcere").
Nonostante questi casi di rifiuto, pur presenti, nella maggior parte
dei casi l'approccio registrato nelle scuole secondarie è di apertura
verso il diverso, lo straniero, l'immigrato.
Sempre in relazione alle scuole secondarie è accaduto in più casi che
durante la discussione si siano creati due improvvisati "gruppi
d'opinione" nelle classi, definibili come gruppo "di apertura" o "di
chiusura", che tendevano a sottolineare alcuni aspetti piuttosto che
altri, complementari del resto in una visione di insieme. Nel primo
gruppo, composto da ragazzi che manifestavano comprensione e
condivisione per le sofferenze di "stranieri" e "diversi", venivano
elencate e argomentate varie discriminazioni politiche e sociali e
denunciato il ruolo di propaganda faziosa dei media. Nel secondo
gruppo invece, minore nella sua numerosità, veniva assunto un
atteggiamento "apocalittico", manifestando e denunciando timori, paure
di discriminazioni all'inverso, mancanza di reciprocità,
strumentalizzazioni e opportunità considerate ingiustificate (per
esempio la disponibilità di case popolari e spazi nei nidi).
Molto diffusi, stratificati e distribuiti in tutte le fasce di età, i
pregiudizi verso i rom, difficili da sradicare ("Quando ero piccola,
mia nonna notò una bimba rom. Mi raccomandò di stare attaccata alla
gonna di mia mamma perché la signora mi avrebbe portato via").
Strategie inclusive dei ragazzi italiani
I timori dei ragazzi emersi nei primi approcci col "diverso", lasciano
ben presto lo spazio alla curiosità e alla voglia di conoscere ("Se
una persona è diversa da te, conoscerla è la cosa migliore"; "Quando
uno è strano non è mica un mostro? È un bambino come noi e dobbiamo
conoscerlo"; "Con la mia amica straniera su facebook ogni volta che
parliamo scopriamo sempre più cose in comune e ci vogliamo sempre più
bene ogni giorno che passa"; "Io comunico spesso con una ragazza
argentina tramite MSN che ho conosciuto con facebook avendo la
passione per lo stesso gruppo musicale italiano. Abbiamo iniziato a
parlare verso settembre e subito ci siamo sentite in sintonia provando
simpatia l'una per l'altra. Ci siamo aggiunte su MSN ed abbiamo
praticamente iniziato a parlare ogni giorno, parlandoci o
videochiamandoci"; "Fin da quando sono arrivati i miei compagni di
classe stranieri li abbiamo sempre invitati alle feste perché,
ovviamente, il miglior modo per stringere un rapporto è giocare
insieme").
Dalle parole dei ragazzi emerge con forza che la conoscenza diretta
con lo "straniero" possa aprire nuove strade e opportunità,
permettendo di ricostruire i rapporti, favorire la crescita personale
e far nascere l'amicizia ("A me è capitato di frequentare un bimbo di
carnagione, cultura e lingua diversa. Io un po' l'ho pregiudicato,
invece era bravo e gentile. Non ho più visto la carnagione, la lingua
e la cultura diversa dalla nostra, ma ho osservato quello che c'era
dentro di lui. Ho cercato di parlargli, ma non lo capivo, allora ho
fatto un sorriso e gli ho detto "Andiamo a giocare?" Giocando insieme
a calcio siamo diventato presto amici"; "Posso testimoniare che gli
uomini neri sono gentili. Per esempio, me ne stavo andando via da un
negozio ed era passato di lì un uomo nero. Mi ha chiesto gentilmente
se volevo un braccialetto e io l'ho accettato").
Da uno sguardo di insieme, la diversità non sembra costituire un
problema per i ragazzi interpellati. Lo slogan ricorrente, registrato
in quasi tutte le scuole "Siamo tutti uguali, siamo tutti diversi", è
stato ripetuto e personalizzato in varie forme: "In fondo siamo sempre
tutti uguali"; "Essere tutti diversi è bellissimo, non è mica un
problema!; "Abbiamo tutti il diritto di essere diversi"; "I soggetti,
pur culturalmente differenti, hanno gli stessi diritti, primo fra
tutti il diritto di essere se stessi. Se non fosse così l'intercultura
diventerebbe un'ipocrita teoria"). Recita con diretta semplicità una
poesia scritta da alunni delle elementari "Noi siamo bambini/diversi
ma amici/non mi importa come siamo/m'importa giocar per mano/perché
questo pensiero serve all'amicizia/per non spezzarla e sempre
apprezzarla".
Molti ragazzi hanno fatto riferimento alla diversità come a una
risorsa, un'opportunità da non perdere che ci fa diventare più maturi
e ricchi ("C'è sempre una persona diversa in tutti gli aspetti,
esteriori e interiori. Questa è una fortuna"; "Possiamo avere lingua,
tradizioni, cultura diverse, ma secondo me è un bene distinguerci";
"Conoscendo un diverso, nonostante un primo timore, si possono
imparare una quantità innumerevole di cose"; "Dumbo è nato con le
orecchie più grandi del normale, ma la diversità può risultare un
vantaggio"; "La paura porta ad escludere i diversi. Secondo me le
distinzioni fra i popoli vengono fatte solo perché la gente ha paura
di conoscere le altre culture che invece arricchiscono le nostre
conoscenze"; "Il diverso è una fortuna, altrimenti sarebbe una noia
mortale. Vi immaginate un mondo in cui tutti sono uguali?"; "Il
diverso è speciale perché, se fossimo tutti uguali, litigheremmo";"Io
penso che l'amicizia tra persone che hanno culture diverse sia molto
importante perché arricchisce e insegna il rispetto reciproco";"Col
diverso si creano cose nuove"; "È bello conoscere persone diverse da
noi perché ci sono molti lati positivi: si possono imparare cose e
anche noi possiamo insegnare a loro"; "Per me sono diverse tutte le
persone che ci stanno attorno: compagni di banco, altri bambini
italiani, perfino il babbo e la mamma. Questo non significa che gli
altri siano inferiori a noi, anzi, da loro possiamo imparare qualcosa
di nuovo che in futuro potrebbe aiutare").
Pochi i riferimenti alla religione che non sembra costituire un
problema per l'inserimento, un ostacolo per fare amicizia ("Con Amir
le giornate volavano via anche se aveva la pelle nera e praticava
un'altra religione. Insieme ci divertivamo tanto e non parlavamo mai
del nostro Dio e delle nostre usanze"; "Io ho amici di altre
religioni, ma non è mai stato un problema. La religione, infatti,
quando non subisce strumentalizzazioni, porta alla pace e non alla
divisione").
Emerge anche come, nella fase successiva di consolidamento
dell'amicizia, si sviluppi spesso un senso di protezione verso il
compagno o l'amico in difficoltà ("Io ho sempre difeso Mohammed quando
lo prendevano in giro"; "All'asilo c'era una bimba che diceva cose
brutte alla mia amica con la pelle scura. Io la difendevo sempre, ma
lei ci rimaneva male lo stesso"; "Con Alesci ero molto legato. A volte
lo aiutavo a fare la lezione e a volte lo difendevo. Per esempio
quando la maestra gli chiedeva qualcosa e lui non capiva, i miei
compagni lo prendevano in giro. Io cercavo di far capire che non era
bello, ma era molto difficile").
Il compagno "straniero" si mostra anche un'importante occasione di
crescita emotiva per gli studenti italiani che mostrano straordinarie
capacità di assumere il ruolo dell'altro cogliendo l'occasione per
mettersi nei panni di categorie deboli quali immigrati, disabili,
malati, diversi discriminati, poveri, persone con problemi mentali. La
condivisione delle emozioni si accompagna con la messa in discussione
del proprio stile di vita, delle proprie aspettative, di risorse
economiche e opportunità ("Hai mai pensato che potresti essere tu
quello diverso?"; "Deve essere triste sentirsi rifiutato per un
ragazzo straniero che cerca di inserirsi. Io ho provato un'emozione
simile quando Federica, Federico e Anna mi hanno escluso dal loro
club. E' molto brutto"; "Mentre io me ne sto comodamente sdraiata sul
mio letto ci sono bambini che nascono sentendo lo scoppio delle bombe
ancor prima della voce della loro mamma"; "Molti miei coetanei stanno
per morire per mancanza di cibo").
Anche nelle poesie emergono espressioni di condivisione che mostrano
una delicata sensibilità ("…Questo mondo che ha tanto bisogno di
amore/ giustizia, solidarietà tra tutti i popoli/chiede aiuto e
pietà/per le persone che ogni giorno piangono, muoiono/soffrono per la
fame, la guerra/e ogni altro tipo di umiliazione"; "Sono persone di
colori diversi che dai loro paesi si sono persi"; "Siamo tanti/siamo
uguali/siamo diversi/Tanti bambini muoiono/tanti bambini persi/tanti
lavorano/tanti partecipano alle guerre/tanti se ne trovano in tutte le
terre").
La scoperta e l'accoglienza di compagni "stranieri" o "diversi" sono
favorite anche da piccole ma importanti occasioni conviviali ("Da
quando sono arrivati li abbiamo sempre invitati alle feste), dalla
condivisione di giochi ("Quando Omar viene a casa mia giochiamo alla
play station"; "Alcune volte per instaurare un rapporto con i miei
nuovi compagni stranieri ho usato degli stratagemmi, per esempio le
figurine dei calciatori. Pian piano, in questo semplicissimo modo, ho
costruito una relazione col mio nuivo amico"), dall'inclusione in
gruppi preesistenti ("Mi ricordo il giorno in cui entrò in classe un
compagno ucraino. Il suo sguardo esprimeva un senso di disagio. Ci
siamo avvicinati e gli abbiamo chiesto se voleva giocare con noi con
una pallina di carte. Da quel momento è iniziata un'amicizia che spero
andrà avanti anche dopo le medie").
Fra le modalità più comuni di integrazione compare anche l'intenzione
di sottolineare i vantaggi, primo fra tutti l'opportunità di imparare
un nuovo idioma da un compagno rivelatosi un provvidenziale e gratuito
insegnante madre lingua. L'entusiasmo viene manifestato soprattutto
nel caso dell'inglese e dello spagnolo ("Parlando in spagnolo con la
mia amica argentina sto approfondendo ed esercitando una lingua che mi
pace moltissimo"; "Che fortuna avere Chiara che parla inglese in
classe! Meglio lei di una professoressa!").
L'utilità della presenza "straniera" viene sottolineata simbolicamente
anche in situazioni semplici e quotidiane, apparentemente poco
significanti, ma cariche di conseguenze ("quando sono giù mi rassicura
sapere che c'è Katarina accanto a me"; "avevo il braccio rotto, ma
anche se era appena arrivata Klaudia, mi ha aiutato molto facendomi
ridere").
Altra modalità frequente di inclusione quella di sottolineare le
comunanze ("Le piacciono i cavalli come a me, leggere, giocare al
computer e fare sport";"È nata nel mio stesso giorno"; "Quando l'ho
vista la prima volta ho capito che mi assomigliava") e la "normalità"
di azioni quotidiane compiute dal compagno ("Ho scoperto che in
Marocco mangiamo pane e marmellata a colazione come da noi"; "Non me
l'aspettavo ma in Albania a colazione mangiano come noi pane e
cioccolato").
Un'altra strategia "naturale" dei ragazzi è quella di cercare o
inventare uno spazio comune, soprattutto lontano dalle mura
scolastiche, in modo semplice e creativo. Può essere un invito a
pranzo, l'avventura entusiasta di una visita a casa, la condivisione
di un pallone, il gelato dopo la partita, percorrere un pezzo di
strada insieme, sedersi accanto sul pulmino della scuola.
IL PUNTO DI VISTA DEI RAGAZZI "STRANIERI"
Ricostruiamo ora il complesso processo di integrazione assumendo un
altro punto di vista, quello cioè dei ragazzi "stranieri" avvicinati
nel corso del progetto, dove il termine "stranieri", ripetiamolo,
indica non necessariamente il riferimento alla cittadinanza. A seconda
dei casi, infatti, vengono definiti e considerati "stranieri" dai
compagni di classe anche bambini adottati provenienti da paesi lontani
o giovanissimi cittadini italiani di prima generazione, nati da
genitori immigrati, che conservano lingua, tradizioni ed espressioni
culturali del paese di origine.
Molto spesso questi ragazzi sono venuti in Italia per il
ricongiungimento familiare come viene raccontato in più occasioni ("Ci
siamo trasferiti perché mio babbo lavorava qui e non lo vedevamo mai";
"Prima di me in Italia è venuta la mia mamma, quando io ero ancora
piccolina"; "Mio zio aveva trovato un lavoro anche per mio padre e
appena possibile siamo partiti tutti").
Quasi tutti hanno parlato di una prima e complessa fase di
adattamento. Passo fondamentale, ma spesso anche ostacolo principale,
l'apprendimento linguistico e l'acquisizione di nuove competenze
comunicative ed espressive, essenziali per consentire e velocizzare il
processo di inserimento.
Durante gli incontri e negli scritti presentati per il concorso sono
state espresse in varie forme le numerose difficoltà quotidiane
affrontate. Non banale l'adattamento alimentare ("in Marocco mangiavo
con le mani, sui divani. Qui tutto è cambiato, ma conservo ancora
l'abitdine di non mangiare maiale perché siamo musulmani"), il cambio
di abitudini legate al dormire ("in Albania d'estate col caldo
spostavamo i materassi sul terrazzo, qui non si può fare o se lo fai
ti guardano strano"), la scoperta di nuove modalità di trasporto ("nel
paese mio andavo a scuola da solo a piedi").
Il processo di inclusione e adattamento conduce (e costringe a volte)
gli studenti interpellati ad un superlavoro percettivo e ad un
affaticamento fisico. In questa delicata fase di "studio" gli studenti
ricordano di aver dedicato non poche energie ad una meditata
osservazione della nuova realtà, ad una faticosa comparazione del
sistema di valori e ad un'accorta valutazione dei pro e dei contro.
Questo "superlavoro" viene denunciato soprattutto in relazione a temi
di rilievo quali la religione ("Noi facciamo il ramadam"), i divieti
morali ("Noi non mangiamo il maiale"), il concetto di lecito/illecito
("La mia mamma non poteva andare in giro senza velo"), rispetto ("Nel
mio paese gli anziani sono considerati più importanti"), ospitalità
("Quando viene un ospite siamo molto gentili e l'ospite viene trattato
come uno della famiglia"), divertimento ("Le nostre feste durano tutta
la notte") e la manifestazione di affettività in pubblico ("Da noi i
fidanzati non si baciano in pubblico").
Accanto alle difficoltà vengono anche sottolineate però le maggiori
opportunità economiche e il miglioramento dello stile di vita ottenuti
dopo il trasferimento in Italia ("Nel mio paese avevo solo pochi
giocattoli di legno";"A scuola qui sono meno severi, non ci
minacciano"; "In Bangladesh i bambini dovevano andare a scuola alle
sei di mattina per fare religione; se qualcuno ritardava lo
picchiavano col bastone"; "In Italia le biblioteche della scuola sono
bellissime"; "A Pisa ho trovato piste vere, di terra rossa, per le
gare di atletica e non i pavimenti sabbiosi delle strade di Abidjan";
"Per dormire le famiglie in Ecuador si riuniscono in un'unica stanza,
alcuni dormono per terra, altri sul materasso, dipende dalla classe di
appartenenza; se non si è ricchi si dorme per terra nell'unica stanza.
Qui invece tutti hanno un letto").
La condivisione delle difficoltà affrontate dei genitori
Interpellati sulle esperienze personali che hanno vissuto venendo in
Italia, molti bambini e ragazzi che hanno partecipato al progetto
educativo, volontariamente e con modalità del tutto personali, hanno
messo in comune con la classe varie difficoltà di inserimento.
Durante gli incontri si sono verificati anche casi inaspettati di
confidenza che hanno sorpreso insegnanti e compagni, episodi dei quali
si sono rivelati protagonisti studenti considerati fino a quel momento
timidi e riservati i quali, in modo liberatorio e confortante, hanno
colto l'occasione per denunciare emarginazioni e difficoltà varie di
inserimento.
La riflessione degli studenti, che si riflette anche negli elaborati
scritti presentati per il concorso, è partita da situazioni di disagio
pre-esistenti nel paese di origine, dalla denuncia dolorosa di
difficoltà economiche, discriminazioni varie, guerre civili o problemi
familiari che hanno costretto uno e entrambi i genitori a cercare una
nuova opportunità di lavoro.
Molti ragazzi raccontano di essere stati affidati temporaneamente, nel
paese di origine, a uno dei genitori rimasti o a qualche parente
(tipicamente la nonna), nella speranza di un ricongiungimento
familiare mai certo, ma sicuramente promesso.
Pur nella lontananza, quando ancora erano residenti nel paese di
origine, i ragazzi riferiscono di aver partecipato emotivamente e con
una vaga ansia al difficile processo di inserimento economico e
sociale dei propri familiari in Italia, ostacoli e difficoltà resi
palesi e concreti dopo il ricongiungimento.
Recita la poesia di un ragazzo nato in Italia da genitori marocchini,
a dire dell'insegnante ben inserito nel contesto scolastico e locale,
che parla delle difficoltà affrontate dal padre "Ho percorso
chilometri/in cerca di una vita migliore/ho lasciato il mio cuore/
nella madre terra/ e oggi/ vivo con i ricordi degli odori/ trovandomi
solo in un mondo/ di sguardi indifferenti/ Ho percorso chilometri/in
cerca di orizzonte/ma l'orizzonte si è allontanato/ancora di più."
Una matura condivisione delle difficoltà affrontate dai genitori si
registra soprattutto nelle scuole secondarie dove compaiono pure
espressioni malinconiche ("Ricominciare la vita da capo"; "I miei
genitori hanno lasciato tutti gli affetti nella loro terra"; "I primi
anni in Italia per i miei sono stati molto difficili perché non
conoscevano la lingua italiana, erano discriminati a causa della loro
provenienza, non avevano nulla e dovevano rinunciare alla loro vita").
Accanto a sentimenti quali disagio, sofferenza e dolore per le
umiliazioni, frustrazioni e discriminazioni sopportate dai genitori,
emergono contestualmente anche sentimenti di fierezza per i risultati
raggiunti e un vivo orgoglio per il lavoro svolto in condizioni a
volte disumane ("Credo che solo chi ha vissuto sulla propria pelle
possa capire veramente le sofferenze che hanno dovuto sopportare i
miei per darmi la possibilità di avere un futuro normale come tutti
gli altri bambini. Proprio per questo li stimo tantissimo").
Un andamento ciclico
Gli studenti "stranieri" fanno riferimento generalmente ad un
inserimento "a sbalzi", ciclico nell'alternanza di emozioni comunque
forti, in un avvicendarsi di alti e bassi, fra ottimismo e pessimismo.
Gli entusiasmi vengono accostati alle delusioni, l'accoglienza viene
alternata a un doloroso rifiuto ("Á volte mi prendevano in giro perché
provenivo da un altro paese. Mi ricordo ci stavo male, me la prendevo
molto. Mi facevano sentire diversa"), l'interesse cede spesso il passo
a pregiudizi ("Tante volte ho incontrato persone che mi giudicavano
male perché sono rumena. Dicevano che ero una criminale e ladra come
tutti gli altri e iniziavo a piangere"), il rispetto viene alternato a
processi di discriminazione ("spesso mi hanno offeso senza ragione
perché sono straniera").
Alle difficoltà e delusioni "ereditate" dai genitori, che hanno
anticipato nei tempi l'inserimento, si aggiungono varie forme di
ostacoli più o meno prevedibili, cui i ragazzi fanno riferimento
mostrando una matura capacità di autoanalisi.
Nelle parole degli studenti si parla frequentemente dei primi tempi
dell'inserimento come un momento fondamentale, una forma di imprinting
culturale che influisce in modo determinante sull'andamento generale
del processo inclusivo. Sono momenti delicati, difficili da gestire,
spesso vissuti con sofferenza profonda e sconvolgimento psicologico
("All'inizio per me è stato difficile; Non è stato immediato abituarsi
a una cultura, lingua e modo di vivere completamente diversi da quelli
del mio paese di origine"; "L'Italia all'inizio non mi piaceva, anzi,
la chiamavo inferno. Odiavo l'idea di dover vivere lontana da tutti i
miei parenti e amici").
Non banale l'adeguamento alle mutate abitudini alimentari ("La
difficoltà più grande fu quella di adattarmi alla nutrizione italiana.
Non potevo sopportare, proprio a livello patologico, le abitudini dei
bambini italiani di mangiare pane con l'olio per merenda oppure quelle
terribili minestrine così dense con un chilo di pasta dentro").
Fra i principali ostacoli lamentati compare ovviamente la complessità
dell'apprendimento linguistico, a volte superiore alle aspettative
("Ho scoperto con dolore che in Italia non si parlava polacco"; "I
primi giorni trascorsi in Italia mi sentivo catapultata in un mondo
tutto diverso. Mi tornava difficile imparare e soprattutto capire la
lingua italiana, anche se ogni pomeriggio mio madre dedicava ore ed
ore per spiegarmela con libri per bambini"; "All'inizio me ne stavo
sempre in casa con la mia mamma che cercava di farmi imparare le
parole più importanti "; "Il mio amico non andava volentieri a scuola
in Italia, non perché fosse uno svogliato, ma perché i suoi compagni
lo emarginavano e perché aveva molte difficoltà con la lingua").
Dopo un comprensibile periodo di entusiasmo iniziale e istintive
valutazioni ottimistiche, i ragazzi fanno riferimento a un successivo
sentimento di disillusione delle aspettative, denunciato in maniera
semplice ma molto diretta ("Credevo che tutti in Italia fossero
romantici e simpatici!"; "Prima di venire mi immaginavo tutto diverso.
Pensavo solo alle cose meravigliose di questo paese, i bei monumenti,
la bella vita, il mare, tutte quelle cose che non potevo comprare e
avere nel mio paese. Quando sono arrivata mi sembrava così strano…").
A volte la delusione viene espressa in modalità simboliche ("Mi
aspettavo che in Italia ci fossero grattacieli", "Quando sono
arrivata, era dicembre. Faceva molto freddo ma non c'era la neve come
in Romania. Sono rimasta delusa").
In un contesto di iperstimolazione cognitiva ed emotiva, eventuali ma
comuni difficoltà scolastiche non fanno che acuire problemi già
emergenti ("Dopo la bocciatura ero distrutto. Dovevo ricominciare a
fare delle nuove amicizie, abituarmi alla nuova classe e diventare
simpatico anche per loro, ma soprattutto capire che non si può tornare
indietro. A volte rimediare ai propri errori è troppo tardi").
Accanto alla denuncia di difficoltà e incomprensioni subite, i bambini
e ragazzi "stranieri" interpellati arricchiscono il dialogo mostrando
una matura e obiettiva consapevolezza di come l'integrazione sia un
processo difficile, che porta il paese ospitante ad affrontare
situazioni controverse cariche di potenziale conflittualità sociale.
Gli studenti invitano però saggiamente a non generalizzare, a valutare
caso per caso ("Mi dispiace che per alcuni che si comportano male,
tutti gli stranieri debbano essere messi sullo stesso piano di chi
ruba o fa altre cose…che certo non mi rappresentano") e a filtrare le
informazioni spesso fornite dai media con superficialità ("Se uno
straniero commette un reato viene subito messo sulla prima pagina.
Questo non significa che le persone di quel paese sono tutte come
lui").
Strategie per l'inserimento dei ragazzi stranieri
Come accade per i compagni di classe e amici italiani, anche i bambini
e ragazzi "stranieri" individuano variegate strategie per
l'adattamento culturale e l'inserimento nel tessuto sociale italiano e
locale.
Il primo passo affrontato dagli studenti è indubbiamente un processo
di elaborazione cognitiva, il faticoso tentativo cioè di inquadrare la
nuova realtà in parametri di riferimento. Un passo questo che avviene
in modalità e tempi del tutto personali, ricorrendo spesso a un
temporaneo isolamento, strategia provvisoria e conservativa di
adeguamento individuata dagli studenti come rassicurante e risolutiva,
per lo meno nella fase iniziale. Questa modalità di reazione
istintiva, confermata dalle rilevazioni dei docenti, appare
inconsapevole nei bambini delle scuole primarie, palese invece nei
ragazzi delle medie e delle superiori che ne parlano come reazione
naturale per evitare inutili sofferenze ("Preferivo isolarmi nel mio
mondo ancora un po' e studiare la situazione"; "Quando frequentavo la
seconda a Milano sono arrivati due bambini, uno da Cuba, uno dalla
Spagna. Loro non parlavano italiano e quindi non ci rivolgevano la
parola. Spesso si isolavano anche quando facevano dei giochi").
Strategia vincente per l'inclusione si mostra poi il faticoso
esercizio della pazienza, nella prospettiva di un lento adeguamento
alla nuova quotidianità ("Ho cominciato a mangiare tanta pizza") e
alla nuova lingua ("Prima di partire la mia nonna mi aveva regalato un
dizionario e stavo sempre a sfogliarlo. Mia zia mi ricorda che ero
buffa"). Notiamo poi la strategia di sottolineare le comunanze e
sminuire, semplificare le differenze ("ci vestiamo uguale, l'unica
differenza sono le donne che usano il velo") ma anche quella di
mettersi in evidenza, attirare l'attenzione su di sé, utilizzare il
motto di spirito, battute e frasi simpatiche per farsi benvolere nel
gruppo dei pari ("Col tempo sono diventato il simpaticone della
classe").
Appare fondamentale per un felice inserimento l'approvazione dei
compagni di classe e degli amici ("Nelle varie classi in cui sono
stata inserita dal mio arrivo in Italia ho sempre trovato affetto e
sincera accoglienza, ma nessuno mi ha fatto sentire una parte
importante del gruppo come la mia attuale classe. Amo dal profondo
tutti i miei compagni e auguro loro pace e serenità nell'anima"). Il
sostegno del gruppo, soprattutto nelle scuole secondarie di primo
grado, si mostra provvidenziale ("Grazie all'accoglienza ricevuta la
delusione provata all'inizio era svanita"; "Se non avessi avuto la mia
classe sarei sicuramente tornata a casa") e muove un sentimento
ricorrente di gratitudine ("Ringrazio tutti coloro che ignorando il
fatto che sono straniera mi hanno accettato così come sono e mi hanno
accolto con affetto e simpatia"; "Viva la mia classe e viva
l'Italia").
I nuovi amici vengono scelti prevalentemente con il criterio della
somiglianza ("Tra i tanti bambini che c'erano scelsi una bambina che
credevo mi somigliasse per certi versi e grazie a lei ho imparato
l'italiano velocemente") e dell'attenzione sincera mostrata ("Tra i
compagni di scuola che ho avuto, la migliore è stata una ragazza di
nome Laura, diversa da tutti. Lei era sinceramente interessata a me e
alla mia cultura. Mi aveva accettato come ero e frequentava me, la mia
famiglia e altre persone che venivano anche loro dalla Romania. Con
piacere le ho insegnato un po' la mia lingua. Un giorno vorrei
portarla nel paese dove sono nata").
Nel contesto della classe si mostrano di grande consolazione anche i
compagni di classe "stranieri" con storie simili alle spalle, capaci
di condividere le aspettative e le delusioni, anche se non sempre
l'amicizia e la complicità scattano subito ("Quando ho nostalgia della
Moldavia parlo con Irina"; "I primi mesi con Dan non ci parlavo tanto,
anzi lo prendevo in giro. Poi ho cominciato a conoscerlo e ho scoperto
che abbiamo molte cose in comune. Per esempio parliamo tutti e due
russo, lo sappiamo scrivere e leggere, e a volte lo usiamo come codice
segreto per non farci capire dagli altri").
Uno sguardo distaccato al paese d'origine
Nella quasi totalità dei casi gli studenti interpellati hanno scartato
come strategia possibile di inserimento e accettazione, non
ritenendola giusta, opportuna e nemmeno utile, il rifiuto della
propria cultura di origine e la sostituzione automatica con la nuova
cultura.
Pur essendo presenti casi di bambini e ragazzi che con timore
nascondono la propria provenienza, la maggior parte degli studenti non
teme di mostrare un sentimento di orgoglio verso la cultura d'origine
("Per festeggiare un anno dal trasferimento Chiara si è incollata
tutte le bandierine del suo paese sul volto"), soprattutto ad
inserimento avvenuto.
Rimane vivo, soprattutto negli studenti delle secondarie, un vago
senso di nostalgia per le abitudini perse ("La scuola era più
divertente perché c'era una classe unica di circa cinquanta bambini) e
un sentimento di orgoglio nazionale ("Sono molto fiera delle mie
origini"; "A distanza di tempo mi sento comunque brasiliana").
Ad inserimento avvenuto però, il bilancio del distacco è solitamente
positivo ("Confesso che con il passare del tempo ho cambiato idea e
adesso mi trovo meglio in Italia"). Sicuramente mancano gli affetti
dell'infanzia ("A dirla tutta mi trovo meglio qui che in Bulgaria,
anche se certe volte vorrei tornarci perché tutti i familiari abitano
là"), ma le nuove amicizie consentono un "aggiustamento" anche
affettivo nonostante le eccezioni ("Sto meglio in Italia perché le
persone sono più allegre, anche se a volte possono essere anche
ignoranti e arrroganti. Quelle persone però cerco di evitarle"). Dopo
qualche anno vissuto in Italia il paese di origine appare così più
vicino e raggiungibile ("Quando vado in Albania dai miei nonni dopo un
po' voglio tornare in Italia e quando sono in Italia da tanto tempo mi
manca l'Albania, ma ormai mi sono abituato a questi sentimenti, tanto
so che se voglio tornare in Albania non è poi così lontano"; "Avrei
l'intenzione di rimanere a vivere in Italia tornando nelle Filippine
soltanto per le vacanze perché qui mi piace tantissimo!").
Capita spesso che il ricordo del paese d'origine si trasformi col
tempo e che si confonda subendo in qualche misura il filtraggio
operato dal ricordo dei genitori ("Io ero molto piccolo quando sono
venuto a Pisa. Molte cose me le ricordo solo perché i miei me le
raccontano"; "La mia mamma mi racconta che in Albania le maestre erano
molto severe: se facevi qualche sbaglio ti picchiavano o dovevi
rimanere su un piede dietro una porta";"Alle 14 gli alunni facevano a
turno per controllare chi usciva di casa; se vedevano qualcuno per
strada il giorno dopo lo andavano a riferire alla maestra che avrebbe
messo loro una punizione perché dovevi rimanere in casa a studiare").
Nel processo di elaborazione identitaria appare determinante anche il
ruolo dei media e le impressioni registrate durante le rare visite ai
parenti rimasti nei paesi d'origine, dei quali gli studenti fanno
resoconti in qualche forma "turistici". Viene notata per esempio la
differente modalità di divertirsi, il rispetto della natura e
dell'ambiente, la pericolosità delle strade, i modi diversi di
dormire.
Il ruolo degli adulti
Riferiscono gli studenti in molte occasioni che un ruolo fondamentale
per favorire un riuscito e stabile inserimento nel contesto locale è
ricoperto dai genitori che possono stimolare per esempio l'accoglienza
del figlio/a mostrando in varie forme amichevolezza verso i nuovi
compagni di classe o amici improvvisati ("Un giorno sono andata al
parco giochi. All'inizio avevo dei pregiudizi, perché non conoscevo
quel bimbo, poi ci ho giocato un po' e ho scoperto che era un bambino
simpatico e uguale a me. Alla fine del gioco, prima di andare via, suo
padre mi ha regalato addirittura una collanina perché ero diventata
sua amica"; "A Rimini sulla spiaggia ho conosciuto una bimba
senegalese. La sua mamma, gentilissima, mi ha anche fatto le
treccine").
Fondamentale si mostra anche il ruolo della scuola e degli insegnanti,
molti dei quali hanno sviluppato autonomamente e in modo creativo
strategie finalizzate alla gestione dei "naturali" conflitti che si
verificano in presenza di alunni "diversi" o "stranieri". Tali
strategie utilizzate, personalizzate e consolidate dall'esperienza,
essenzialmente sono concepite e mirate per creare un clima di dialogo
costante e aperto nella classe. Fra di esse il tentativo non banale di
personalizzare il diverso, evitando generalizzazioni e favorendo
l'assunzione di ruolo. Per coinvolgere i più piccoli le modalità
individuate dagli insegnanti utilizzano in modo privilegiato lo spazio
e il corpo come strumenti principe di comunicazione. Per esempio
sembra funzionare "mettersi nella posizione di ascolto" con le mani
dietro le orecchie oppure "fare cerchio" seduti per terra dove i
bambini, a turno, espongono il proprio punto di vista. Oppure ci
riferiamo alle "strategie affettive" quali gli abbracci concepiti come
strumento immediato per riappacificare e creare un terreno d'intesa
("il caldo morbido" di un'insegnante delle primarie). Importanti anche
le strategie più razionali e intellettuali, utilizzate soprattutto
nelle secondarie, quali le ricostruzioni storiche della diversità, la
messa in discussione dei pregiudizi e stereotipi tramite opere
letterarie, la decodifica dei messaggi mediatici, l'attenzione
costante alle parole (per esempio "rom" e non zingari, "robusto"
invece di grasso). L'insegnante si mostra a tutti gli effetti, nei
processi di mediazione interculturale e interreligiosa, una figura
fondamentale di riferimento, soprattutto quando riesce ad ottenere il
rispetto degli studenti, obiettivo non sempre facile da ottenere.
Casi di integrazioni riuscite
Il rapporto personale e la conoscenza diretta del compagno "straniero"
si mostrano gli strumenti privilegiati per un'integrazione riuscita.
Determinante abbiamo già visto, e a tratti indispensabile, anche il
ruolo della classe come entità di appartenenza che accoglie e dà
sicurezza. Meccanismo questo evidente soprattutto nelle scuole
secondarie dove i tentativi di riconoscimento nel gruppo e i fenomeni
di mimesi adolescenziale sono particolarmente rilevanti.
Una felice integrazione si mostra agevolata anche dalla presa di
coscienza che l'inserimento è un processo lento e pieno di ostacoli
("Ho imparato che il tempo cambia il modo di pensare della gente").
Non è poi una sorpresa scoprire come risulti molto più facile
l'inserimento degli studenti quando giungono in Italia da piccoli
("per mia sorella che è nata qui sarà tutto molto più facile").
Quando il percorso di inserimento è avanzato, sia a scuola che nel
contesto locale, quando cioè nella percezione degli studenti i
genitori hanno un lavoro "sicuro" che consente il mantenimento ma
anche una certa "onorabilità" sociale, i ragazzi mostrano la
consapevolezza di sentirsi "arrivati", facendo emergere un sentimento
di orgoglio nelle proprie capacità individuali che lo hanno portato a
fare parte di quel "Noi" tanto agognato che finalmente lo ha incluso
("Ormai non mi riconoscono come straniero se non glielo dico io").
Capita anche che venga sottolineato il proprio inserimento prendendo
le distanze da compagni meno riusciti nel tentativo di integrazione
("Il mio compagno non si è ancora ben inserito, eppure è arrivato in
Italia il mio stesso anno. Il suo problema è la timidezza"; "Sasha non
ce l'ha fatta perché era troppo emotivo. Si guardava troppo indietro
invece di guardare avanti").
Fallimenti
Nonostante le indubbie difficoltà sono pochi i casi di insuccesso
scolastico registrati o riferiti dalle insegnanti nel corso del
progetto. Fra i fallimenti elencati dai ragazzi possiamo citare
episodi di varia natura: una bocciatura, la perdita della stima del
gruppo, il passaggio ad un'altra classe o a un'altra scuola, il
cattivo rapporto con un insegnante, eventi tutti che in varie modalità
e tempi destabilizzano lo studente "straniero", sottoposto a una
dolorosa perdita di riferimento, a un senso di inadeguatezza e
fallimento.
Recita una poesia di un ragazzo delle medie: "Da voi mi sento
diverso/da questo mondo dove mi sono perso/cammino solo/non riesco ad
alzarmi in volo/percorro questo viale vuoto/attraverso l'oceano a
nuoto/Osservo questo deserto/un immenso vuoto scoperto/Un'oasi ancora
non ho trovato/perpetuamente resto assetato…"
Non pochi hanno rivendicato, soprattutto nella prima fase di scoperta
e adeguamento, il forte desiderio di tornare indietro nel rassicurante
al paese di origine, a volte idealizzato. Eppure rimangono pochi gli
studenti che scelgono di tornare "a casa" ("Con Carlos non ho fatto
subito amicizia perché era poco disposto a comunicare con gli altri e
stava tutto il tempo a disegnare per conto suo…Quando ha imparato
l'italiano le cose sono un po' cambiate, ma alla fine Carlos è tornato
a Cuba perché qui si trovava male"). In questi caso il ritorno a casa
è vissuto come una scelta liberatoria, l'approdo a un nido
rassicurante ("Il mio amico qui in Italia si sentiva come uno di
quegli animali catturati e portati via, destinato a rimanere in un
posto che non è casa sua").
Raramente è emersa la negazione delle proprie origini, verificata nei
nostri incontri dalla mancata alzata di mano di fronte alla domanda
"C'è qualcuno di voi che viene da paesi stranieri o i cui genitori
sono nati fuori dall'Italia?".
La presenza di contraddizioni interne fra accettazione/negazione della
nuova dimensione e l'occultamento (inconscio) della propria
cultura/tradizione/religione si sono manifestate a volte anche sotto
forma di contrasti verso compagni extracomunitari.
Le regole d'oro degli studenti
Gli studenti interpellati ci consegnano in varie modalità ricorrenti
"regole d'oro" per giungere a una sana e stabile interculturalità,
facendo leva su ragionamenti limpidi ed emozioni vive, mai allontanate
come tabù, anzi espresse con una semplicità spesso disarmante,
soprattutto nel caso dei bambini delle primarie.
Essenziale il riferimento costante al concetto di rispetto ("Non
dobbiamo mai dimenticare che il rispetto per il prossimo è alla base
di tutto"; "Tutte le culture sono importanti e vanno accolte con
rispetto"; "Ogni persona ha diritto di esprimere la propria cultura e
i propri pensieri. Gli altri non possono rifiutare il rispetto per
motivi personali ed egoistici"; "Tutti gli uomini sono uguali, anche
se grassottelli, magri o bassi. Non bisogna prenderli in giro oppure
isolarli. Bisogna essere sempre gentili. Così ci insegnano i grandi,
ma spesso se lo dimenticano").
Importante anche l'invito, in quanto esseri umani, a condividere il
destino dell'umanità ("Le culture devono stare insieme, mica possono
stare eternamente in conflitto altrimenti si arriva alla bomba
nucleare"; "Bisogna tutti quanti imparare a convivere. Se ci pensi
tutte le bandiere del mondo, volendo, ne formano una sola"; "Tutte le
persone hanno gli stessi diritti, soprattutto il diritto alla vita.
Questo deve valere dappertutto, non solamente nei paesi ricchi";"Non
bisogna lasciare da solo nessuno e aver rispetto di ogni essere umano,
anche se è lontano").
Compare poi un appello costante alla pace, soprattutto in disegni e
cartelloni variopinti e l'invito a porre fine alle guerre ("La guerra
ha solo un fine, la morte. Dovremmo pensarci più spesso"; "Il
conflitto è la fine della comunicazione, è il naturale epilogo del
pregiudizio che fa allontanare popoli e persone"; "Nella storia le
guerre sono sempre scoppiate per interessi e confini e io mi chiedo se
questi confini servano a qualcosa"; "Non si può stare fermi alla
televisione e vedere scoppiare le guerre come se fossero dei film").
Interessante a proposito, la definizione di un lavoro delle scuole
primarie dove si parla della costruzione di "muri di pace" e della
necessità di "fare ponte" (Recita una poesia inclusa in questo lavoro:
"Da un patto nasce una missione/da una firma nasce un unione/È il
ponte dell'amore/dell'amicizia/della conoscenza/è il ponte dei diritti
mai negati/dell'aiuto prestato/della vita salvata/È il ponte dei
bambini da Metato al Congo insanguinato").
Il messaggio più forte che ci hanno lasciato questi ragazzi è stato
però quello della speranza, una speranza non banale, coraggiosa,
carica di emozioni ("La speranza è l'ultima cosa che lasciamo in
questo mondo"; "Bianchi, neri o gialli il colore non ha senso/basta
guardare con gli occhi dell'amore e tutto sembrerà più bello"; "Forse
la mia è solo un'illusione ma serve qualcosa in più della forza di
volontà. Probabilmente sono una sciocca, ma vorrei aiutare a risolvere
i conflitti in questo mondo. Non sono altro che una goccia paragonata
all'immensità della terra. Un oceano però è formato di tante piccole
gocce sempre unite"). Frasi tutte che ci hanno rincuorato e ci hanno
fatto capire come non siano vani i progetti di educazione all'ascolto
che da anni coinvolgono le scuole. I ragazzi coinvolti nel percorso
hanno evidenziato con semplicità e affetto come non sia vuota la
speranza in un futuro migliore dove il rispetto sia tangibile, non
soltanto una parola abusata. Come ha detto simpaticamente un bambino
di quarta elementare "Io spero che nel mondo un giorno ci sia solo
amore e intercultura".
Bibliografia
AA. VV., Lineamenti di didattica interculturale, Carocci, Roma, 2002
AA. VV., Educazione interculturale, Bruno Mondadori, Milano, 1996
AA. VV., Così vicini, così lontani. I musulmani in Italia, CENS, Milano, 1996
AA. VV., Interculturalità e scuola materna. Itinerari educativi,
Ministero della Pubblica Istruzione, Roma, 1997
P. Balboni, Parole comuni, culture diverse. Manuale di comunicazione
interculturale, Marsilio, Venezia, 1999
D. Barra, W. Beretta Podini, Le migrazioni. Educazione interculturale
e contesti interdisciplinari, Ed. Lavoro, Roma, 1998
G. Baumann, L'enigma multiculturale. Stati, etnie, religioni, Il
Mulino, Bologna, 2003
U. Beck, Che cos'è la globalizzazione, Carocci, Roma, 2000
M. Berman, L'esperienza della modernità, Il Mulino, Bologna, 1985
U. Bernardi, La nuova insalatiera etnica. Società multiculturale e
relazioni interetniche nell'era della globalizzazione, Franco Angeli,
Milano, 2000
G. Bocchi, M. Ceruti, La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1985
S. Burgalassi, R. Biancheri, Appartenenza e identità. Particolarismo e
universalismo, ETS, Pisa, 1995
F. Cambi, Intercultura. Fondamenti pedagogici, Carocci, Roma, 2001
V. Cesareo (a cura di), Per un dialogo interculturale, Vita e
pensiero, Milano, 2001
V. Cesareo, Società multietniche e multiculturalismi, Vita e Pensiero,
Milano, 2000
I. Clark, Globalizzazione e frammentazione. Le relazioni
internazionali nel XX secolo, Il Mulino, Bologna, 2001
CNEL, L'immigrazione in Italia: comunità straniere a confronto, n. 21,
Roma, 1989
E. Colombo, Le società multculturali, Carocci, Roma, 2002
Dal Lago, Non persone. L'esclusione dei migranti in una società
globale, Feltrinelli, Milano, 1999
G. Del Fiume, Educare alla differenza. La dimensione interculturale
nell'educazione degli adulti, EMI, Torino, 2000
P. Donati, Oltre il multiculturalismo, Laterza, Bari, 2008
E. Elamé, R. Marchionni, Rappresentazioni sociali nuova via
dell'intercultura, EMI, Bologna, 2008
U. Fabietti, L'identità etnica. Storia e critica di un concetto
equivoco, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1995
A. Fabris, Comunicazione e mediazione interculturale. Prospettive a
confronto, ETS, Pisa, 2002
R. Farr, S. Moscovici, Le rappresentazioni sociali, Il Mulino, Bologna
G. Favaro, Alfabeti interculturali, Guerini e Associati, Milano, 2000
M. Fortunato, S. Methani, Immigrato, Teoria, Roma, 1997
A. Fucecchi, Didattica interculturale della lingua e della
letteratura, EMI, Bologna, 1998
E. Garcea, La comunicazione interculturale, Teoria e pratica, Armando,
Roma, 1996
E. Garin, Le civiltà extraeuropee nella cultura dell'Europa moderna:
miti, influenze, problemi, in Rinascite e rivoluzioni, Laterza, Bari,
1975
C. Geerz, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna, 1998
G. Gliozzi, La scoperta del selvaggio. Antropologia e colonialismo da
Colombo a Diderot, Principato, Milano, 1971
L. Grossi, R. Rossi, Lo straniero, letteratura e intercultura,
Edizioni Lavoro CRES, Roma, 1997
J. Habermas, Lotte per il riconoscimento nello stato di diritto, in
"Ragion pratica", vol. II, n. 3., 1995
S. Hall, Encoding/Decoding, in S. Hall, Culture, Media, Language:
working papers in cultural studies, 1972-1979, Hutchinson, London,
1980
S. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale,
Garzanti, Milano, 1997
W. Kymlicka, La cittadinanza multiculturale, Il Mulino, Bologna, 1999
Kossi Komla Ebri, Imbarazzismi. Quotidiani imbarazzi in bianco e nero,
Edizioni dell'arco-Marna, Milano, 2002
A.R. Lake, L'arte della negoziazione interculturale, Angeli, Milano, 2000
M. L. Lanzillo, Il multiculturalismo, Laterza, Roma-Bari, 2006
G. Lazzarini, La società multietnica, Franco Angeli, 1993
R. D. Lewis, When cultures collide. Managing successfully across
cultures, London, 1999
C. Lévi-Strauss, Razza e storia. Razza e cultura, Einaudi, Torino, 2001
C. Lombroso, L'uomo bianco e l'uomo di colore: letture sull'origine e
la varietà delle razze umane, Sacchetto, Padova, 1871
A. Mall Ram, Interculturalità. Una nuova prospettiva filosofica, ECIG,
Genova, 2002
M. Mantovani, Intercultura. E' possibile evitare le guerre culturali?
Il Mulino, Bologna, 2004
M. Martiniello, Le società multietniche, Il Mulino, Bologna, 2000
G. H. Mead, Mind, Self and society, University of Chicago Press,
Chicago, 1934, trad. it, Mente, sé e società, Giunti-Barbera, Firenze,
1966
R. L. Meek, Il cattivo selvaggio, Il Saggiatore, Milano, 1976
F. Minerva Pinto, L'intercultura, Laterza, Roma-Bari, 2002
S. Moscovici, Psicologia delle minoranze attive, Boringhieri, Torino, 1981
A. Nanni, Decostruzione e intercultura, EMI, Roma, 2001
A. Nanni, S. Abbruciati, Per capire l'interculturalità. Parole chiave,
EMI, Torino, 1999
E. Nocifera, Itineraria. Dal Grand Tour al turismo postmoderno.
Lezioni di sociologia del turismo, Le Vespe, Milano, 2001
V. Ongini, La biblioteca multietnica, Editrice Bibliografica, Milano, 1992
P. Ortoleva, Mediastoria. Comunicazione e cambiamento sociale nel
mondo contemporaneo, Pratiche, Parma, 1995
R. Panikkar, Pace e interculturalità, Jaca Book, Milano, 2002
P. Patfoort, Difendersi senza aggredire. La potenza della nonviolenza,
EGA, Torino, 2006
B. Pendás, El caballo de Troya del multiculturalismo, in "Quadernos de
Pensamiento Politico", 2004, n. 3, pp. 93-99
A. Perotti, La via obbligata dell'interculturalità, EMI, Torino, 1996
A. Potrera, L'educazione interculturale nella teoria e nella pratica,
CEDAM, Padova, 2000
J. Prades Lopez, L'uomo fra etnia e cosmopolitismo. Fondamenti
antropologici e teologici del dibattito sulla multiculturalità, in
"Nuovo Areopago", 2001, n. 20, pp. 5-32
P. E. Ricci Bitti, S. Cortesi, Comportamento non verbale e
comunicazione, Il Mulino, Bologna, 1977
A. Rivera, La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche
sull'alterità, Dedalo, Bari, 2005
R. Robertson, Globalization, Social Theory and Global Culture, Sage,
London, 1992
A. Roe, G. Simpson, Culture and behaviour, New Haven, 1958
S. Salvi, Le lingue tagliate. Storia delle minoranze linguistiche in
Italia, Rizzoli, Milano, 1975
G. Sartori, Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla
società multietnica, Rizzoli, Milano, 2000
A. Schutz, Lo straniero, in Id. Saggi sociologici, Utet, Torino, 1979
C. Silva, Educazione interculturale, modelli e percorsi, Edizioni del
Cerro, Pistoia, 2002
G. Simmel, Il conflitto della cultura moderna, (a cura di C.
Mongardini), Bulzoni, Roma, 1976
T. Sundermaier, Comprendere lo straniero. Una ermeneutica
interculturale, Queriniana, Brescia, 1999
P. A. Taguieff, La forza del pregiudizio. Saggio sul razzismo e
sull'antirazzismo, Bologna, 1988
C. Taylor, Multiculturalismo. La politica del riconoscimento, Anabasi,
Milano, 1993
F. Toenies, Comunità e società, Edizioni di Comunità, Milano, 1963
M. Touré, Omologazione e diversità, in AA. VV., Così vicini, così
lontani. I musulmani in Italia, CENS, Milano, 1996
M. Vigli, Contaminazioni, Dedalo, Roma, 2007
C. Vigna, S. Zamagni (a cura di), Multiculturalismo e identità, Vita e
pensiero, Milano, 2002
P. Vulpiani (a cura di), Comunicazione sociale, sviluppo e
interculturalità, Armando, Roma, 1999
M. Walzer, Sulla tolleranza, Laterza, Bari, 1998